Il nostro ventennale lo festeggiamo insieme a Milano

“Da molti anni pensiamo che il progetto di una Città metropolitana di Milano sia funzionale ad un buon futuro della Lombardia e quindi dell’Italia. Che questo futuro passi dalla cultura non v’è dubbio; che gli artisti siano non già (e solo) facitori di prodotti da mercato ma anche enzimi di crescita per noi è abbondantemente sperimentato e assodato. Infatti, fin dal 1969 al Guado operiamo per elevare le condizioni culturali dei territori attraverso l’impegno degli artisti. Negli ultimi anni siamo rimasti molto perplessi di fronte ad approcci e sviluppi totalmente inadeguati alle sfide innanzi a noi. Portiamo il nostro contributo di esperienza, di impegno e formazione sul campo con i giovani per metterlo al servizio delle comunità.
Che Città metropolitana, con il Comune di Inveruno autentico esempio di buona prassi pubblica, abbia deciso di festeggiare nella propria prestigiosa sede (nel Cortile d’onore di Palazzo Isimbardi) il ventennale del Padiglione d’Arte Giovane – Inverart è una notizia positiva e confortante che mi onora profondamente e mi sprona (ma deve spronare tutti) a fare ancora di più.

La presa di coscienza dei fatti concreti da parte dell’Ente pubblico è sempre importante e purtroppo non è scontata. Inverart è un esempio chiaro e documentato di come si possano investire le risorse pubbliche in modo costruttivo e produttivo in ambito culturale con gli artisti come protagonisti. 

Nel Ringraziare tutti i partner di questa iniziativa davvero speciale, con il Comune di Inveruno ricordo specialmente la Società Umanitaria e l’Accademia di Belle Arti di Brera che sin dalle prime edizioni hanno compreso il valore del PAG alimentandone l’energia di anno in anno.

L’Arte è il vero spettacolo e ha bisogno di impegno e lavoro non di trovate circensi”.

Francesco Oppi – 29 settembre 2023

Vedi: la pagina dedicata dal Guado e la pagina dedicata da Città metropolitana di Milano

Pubblichiamo volentieri l’intero intervento di Giorgio Seveso al convegno del 14 ottobre 2023 a palazzo Isimbardi a Milano
(nella foto la Sala affreschi di Palazzo Isimbardi sede di Città metropolitana di Milano)

La pagina dedicata la Convegno

GIOVANI ARTISTI OGGI
Riflessione su ruoli e potenzialità dell’artista e sui rapporti con la società

(qui la registrazione audio/video dell’intero convegno)

Vi propongo un diverso modo di guardare ciò che accade nel mondo dell’arte. Ma non per semplice esercizio intellettuale o come esperimento sociologico, bensì perché se le cose non cambiano ne va – secondo alcuni di noi – della qualità e della consistenza stessa dell’immaginario contemporaneo.
Per questo oggi, in opposizione alle modalità più generaliste, effimere e commerciali – ormai comunemente accettate nel mondo dell’arte da noi –  c’è da tenere aperta la possibilità di considerare la pittura, la scultura e più in generale l’espressione artistica e visiva attuali in un modo differente, capace di vivere un ruolo profondamente diverso nei confronti della società.
Naturalmente, un ruolo che non elimina, non sottovaluta e non trasforma in alcun modo lo “specifico”, che non rinuncia alle ragioni più personali e più dense dell’arte intesa come alta manualità e profondi saperi tecnici ma che, invece, richiama una suggestiva innovazione e un efficace rinnovamento delle sue possibilità espressive nel rapporto con le circostanze della vita e del mondo.
Ma per far questo occorre – intanto – fare memoria. Occorre cioè riproporre, fare conoscere valori d’arte che si vengono affievolendo o che in parte sono già dimenticati. Dove sono finiti, in pittura e scultura, il primo e il secondo novecento? Dov’è finito il Realismo degli anni 50, prima, e il Realismo esistenziale degli anni 60 poi? Dov’è finito il naturalismo penetrante delle emozioni o dei gesti pittorici scroscianti, da Morlotti a Vedova per intenderci? Dov’è finita l’ironia di Baj? Ma anche… Dove sono le ricerche astratte rigorose di Nigro o di Veronesi o di Nangeroni (per rimanere qui a Milano e nel dopoguerra) o l’astrattismo geometrico di Radice e del gruppo comasco? Sono esperienze (date qui come “esempi” tra i molti che si potrebbero ancora fare) di modi e maniere diverse tra loro di immersione dell’artista nel reale della società a loro contemporanea, portatori di una intensità appassionata di intervento/ commento/ testimonianza  per valori e idee, di sentimenti/ immaginazioni/ perfino utopie espresse nelle opere rispetto alla complessità dell’esistenza e dell’esistente.
Interventi e utopie mai autoreferenziali bensì rapportabili alla autenticità di un possibile confronto, di una possibile condivisione con le persone, con la società in atto.
Per definire questa situazione dell’arte di oggi da noi si potrebbe pensare agli aspetti particolari del rapporto che ci fu nell’ottocento in Francia tra le immagini dei pittori cosiddetti Pompiers e quelle dei Courbet, dei  Cezanne, dei Gauguin o degli Impressionisti: di questi ultimi tutti ricordiamo nomi e opere, perché hanno inciso nell’immaginario d’allora e ancora le loro immagini ci parlano della società, delle idee e dei sentimenti dell’umanità del loro tempo. Dei primi invece, tranne qualche specialista museale, nessuno ricorda neppure i nomi né tantomeno i quadri (che allora riempivano i salotti della buona borghesia, i Salons e le aste) perché le loro opere erano in larghissima parte di natura puramente accademica, decorative e fatue, intrise di esotismo superficiale e di estetica effimera, appunto fine a se stessa.

Ecco. La storia sembra ripetersi. Perché oggi i giovani artisti lavorano circondati dal monopolio dell’effimero e del puro estetico, cioè dal soffice totalitarismo (Fulvio Papi) di pratiche artistiche che nella quasi totalità sono autoreferenziali, piegate a logiche fortemente mercantili e avvalorazioni non di rado speculative, fatte quasi esclusivamente di linguaggi e modi espressivi gergali, criptici, avulsi da rapporti con l’immaginario collettivo. Hanno di fronte, inoltre, una situazione che in queste poetiche d’arte effimera e autoreferenziale indica la sola direzione per un possibile successo, per un’affermazione personale con l’ingresso nel mercato che conta…  È la “nuova accademia” del contemporaneo, solo spettacolare, altamente commerciale, fatta di brand e di persuasione pubblicitaria massificata.
Diciamolo. Il mondo dell’arte, dagli ultimi decenni del secolo scorso, ha mutuato pari pari dall’ambiente del commercio e dalle ideologie generali del mercato tutte le peggiori strategie, modalità, schemi di funzionamento, di avvalorazione e di rapporto con la società contemporanea. Una imitazione che progressivamente ha svuotato l’arte visiva di ogni vero intreccio significante con l’anima del nostro tempo, di ogni vero contenuto testimoniale, di ogni autenticità lirica. Nel nostro campo, le mode culturali del contemporaneo hanno spinto infatti genericamente verso una sorta di “arte per l’arte”, dove tutto è autoreferenziale e rimanda solo a se stesso. Dove tutto è reificato, diventa cosa e merce, dove tutto ha valore non intrinsecamente artistico ma attribuito tramite strategie di persuasione e di pubblicizzazione, di spettacolarizzazione dell’offerta.
Intendiamoci, molti che si oppongono ci sono ma… una grande maggioranza di realtà negative purtroppo prevale sugli esempi virtuosi, che pure esistono, il Guado è da molto tempo tra questi certamente anche con Inverart.
Mancano ai più – secondo alcuni di noi – le spinte ideali diffuse per ricercare i termini e le declinazioni di una sorta di “arte per la vita”, cioè le possibili libere articolazioni di un rapporto dinamico e vitale con l’esistenza delle donne e degli uomini, sia nel sociale del mondo che nel privato delle circostanze individuali, attraverso forme attuali e innovative di linguaggio espressivo. Qualcosa che riporti l’arte tra la gente, e con la gente la faccia vivere e dialogare. Basta vedere ciò che accade nelle grandi istituzioni dell’arte, nel Paese e fuori: Biennale, Triennali, multinazionali dell’arte come le Fondazioni, come i circuiti dei grandi e piccoli musei contemporanei i quali, come lobby pervasive, occupano ogni spazio e ogni media… Tutto ciò che in quei luoghi e in quelle occasioni viene chiamato contemporaneo è aristocraticamente avulso dalla sensibilità e dall’immaginario collettivi.
E poi il mercato privato e le sue Gallerie, le sue Fiere e le sue kermesse autocelebrative, la promozione spasmodica degli “artistar”, i grandi collezionisti… A tale mercato il pubblico reagisce in diversi modi. C’è chi vi partecipa a prescindere, snobisticamente presenzialista a tutti i costi, tuffandosi ad ogni occasione nel vortice dei lustrini e dei riflettori, comprando l’incomprabile e lodando il non lodabile pur di esserci. Altri investono capitali come comprassero azioni e assets vari di finanza speculativa contando sull’apprezzamento e sui giochi dei rincari, somme spesso non tassabili perché facilmente “al nero”. Poi, la stragrande maggioranza degli spettatori, moltitudine attonita e stupita che assiste alla grande commedia del contemporaneo senza osare intervenire o giudicare. Che magari ogni tanto si entusiasma o si indigna a fronte delle notizie di exploit economici eclatanti, ma che il più delle volte resta indifferente a guardare.

Emilio Tadini negli anni settanta aveva scritto un romanzo dal titolo “L’opera”: è la storia (quasi un “giallo”) di un pittore che in realtà non esiste, letteralmente “inventato” da un gallerista per fare soldi, ricavandoli dal grande mistero che circonda la sua figura e le sue opere, vendute non più per il loro valore intrinseco ma perché eseguite da questo autore sconosciuto, mitico, inafferrabile… Un libro che sembrò a quei tempi visionario, un divertissement privo di sostanza reale… Invece era lungimiranza!
Insomma: oggi un altro ruolo è possibile per l’arte giovane di oggi e di domani. La sostanziale assenza di concretezza umana e sociale del visivo contemporaneo apre un mondo intero di possibili interventi, un ventaglio amplissimo di potenzialità. Apre a un rinnovato atteggiamento nel lavoro degli artisti. E dunque un compito culturalmente molto significativo diventa quello di indicare e rendere praticabili ai giovani artisti e creativi esempi, spazi di ricerca divergenti, sbocchi diversi dai condizionamenti del contemporaneo più diffuso.
Senza rinunciare mai alla ricerca più ardita ma anche allo specifico tecnico della pittura, ai suoi segni fondativi ma anche ai suoi sogni, alla sua espressione, alla sua significanza… una poetica della presenza diventa oggi possibile, una kunstwollen (come diceva Alois Riegl) – una volontà artistica – che contenga lo sforzo di rapportarsi al mondo e alla vita, e non più soltanto all’arte. Che trovi in questo stesso sforzo di ricerca le ragioni e i codici più adeguati del linguaggio impiegato. Insomma, non si tratta di mettere oggi un altro aggettivo all’arte, bensì di spingere per dare alla qualità del lavoro artistico un suo valore aggiunto, una sua riattualizzazione, una sua presenza concreta ed effettuale nella storia di ogni giorno.
È questione, certo, di politiche culturali pubbliche più autonome e meno supine all’esistente, è questione di programmazione illuminata e più coraggiosa nel privato: cose che però sembrano ancora di là da venire, salvo appunto qualche importante eccezione. Per questo è per tutti noi, oggi e domani, soprattutto questione di comprensione dei problemi e di “ottimismo” della volontà.